Il risarcimento dei cd. danni endofamiliari: natura, disciplina e considerazioni di insieme

  1.      Gli illeciti endofamiliari

E’ proprio la mutevolezza del sentimento sociale che ha accompagnato la stagione della privatizzazione delle relazioni familiari, orientata all’elevazione della persona individuale quale fulcro della famiglia e dell’interesse della stessa alla realizzazione piena della propria personalità ad interesse preminente nella regolamentazione ed attuazione della vita familiare, a spronare, sul versante della stigmatizzazione delle gravi violazioni dei doveri coniugali o genitoriali, la penetrazione della tutela risarcitoria all’interno delle dinamiche endofamiliari, violando la tradizionale insensibilità del diritto di famiglia al diritto comune.

La categoria degli illeciti endofamiliari costituisce argomento oltremodo controverso in dottrina e giurisprudenza, tanto sul piano dell’an, e cioè sulla verifica dell’esistenza di un’autonomia concettuale di tale categoria di danni, quanto sul piano del quomodo, e cioè dell’indagine sui meccanismi di reazione deputati alla repressione.

Per illecito endofamiliare si intende, per sommi capi, quell’illecito civile ove la condotta censurata sia integrata dalla violazione dei doveri coniugali, sussistente in rapporto etiologico con un danno ingiusto.

Tradizionalmente, come anticipato, la dottrina e la giurisprudenza escludevano la soggezione delle dinamiche endofamiliari al diritto della responsabilità civile, rilevandosi un peculiare grado di autonomia.

La tesi dell’autonomia ed insensibilità del diritto di famiglia al diritto comune, sorretto normativamente dalla prevista interruzione dei termini prescrizionali in costanza di coniugio, nella specifica materia de quo, rinveniva argomento decisivo nella completezza della disciplina prevista nel Libro I del cod. civ. ove alla violazione dei doveri coniugali corrispondeva la specifica sanzione dell’addebito della separazione.

Nella casistica giurisprudenziale, tuttavia, sempre più frequentemente, viene riconosciuta la tutela risarcitoria al coniuge o alla prole che hanno subito danni in conseguenza a gravi violazioni dei doveri coniugale.

Tuttavia, l’asserito riconoscimento della tutela risarcitoria, sia essa di tipo aquiliano che di tipo contrattuale, non appare indice rilevatore né della sussistenza di autonomia concettuale del cd. danno endofamiliare, néla capacità di compendiare, all’interno di tale categoria, un novero di danni, atteso che un esame della casistica giurisprudenziale non rende possibile individuare punti certi di contatto.

Come correttamente osservato in dottrina (MORMILE) minimo comune denominatore che consente di accomunare tutte queste fattispecie è rappresentato dalla sussistenza di un vincolo di tipo coniugale o di filiazione e principalmente in ciò la morfologia dell’illecito endofamiliare divergerebbe dalla generale principio dell’alterum non laedere.

Alla radice della dissimilarità della struttura dell’illecito endofamiliare rispetto a quello aquiliano v’è, per ciò, la presenza di un dovere di solidarietà, prescindente dai doveri tipizzati dal legislatore siccome corollario del reciproco affidamento nel vincolo coniugale.

Ad oltre venti anni dal leading case nel cui la Suprema Corte ebbe a dichiarare il diritto del figlio a percepire un risarcimento per il danno, patrimoniale e non, conseguente alla condotta defatigatoria del padre, l’impiego degli strumenti di diritto comune, e principalmente della tutela aquiliana, ha perso qualsiasi carattere di eterodossia, essendo applicata tanto alle relazioni genitoriali che a quelle coniugali.

Tuttavia, come correttamente osservato in dottrina, a ben vedere alla categoria dell’illecito endofamiliare, soprattutto in seguito all’arresto delle sez. Un. del 2008 nelle cd. sentenze gemelle sul danno non patrimoniale, non pare potersi ascrivere alcun grado di autonomia concettuale.

A conferma di ciò, e cioè del fatto che nel riconoscimento dell’acquisita rilevanza degli illeciti civili di natura endofamiliare, un ruolo fondamentale è rivestito dall’estensione della tutela aquiliana del danno non patrimoniale, dal danno morale conseguente al reato al danno non patrimoniale, onnicomprensivo, da lesione di un interesse costituzionalmente garantito, depone la stessa sentenza 7 giugno 2000, n. 7713, nella quale la Suprema Corte ebbe a precisare che “essendo le norme costituzionali di garanzia dei diritti fondamentali della persona pienamente e direttamente, operanti anche nei rapporti tra privati, non è ipotizzabile limite alla risarcibilità, della correlativa lesione, "per sé considerata" (n. 184/1986 cit.), ai sensi dell'art. 2043 c.c.: che, per tal profilo la Corte veneziana ha per ciò correttamente applicato, riconoscendo all'attore il ristoro del danno (non già "morale" da illecito penale), ma da lesione in sé di suoi diritti fondamentali, in conseguenza della riferita condotta del suo genitore”.

Ed è ciò che sostanzialmente emerge, trasversalmente, da una variegata casistica ormai ventennale, che la risarcibilità del danno endofamiliare non deriva sic et sempliciter dalla violazione, seppur grave, dei doveri coniugali o genitoriale, bensì dalla lesione di interessi costituzionalmente qualificati.

In questo senso appare, del resto, orientata, buona parte della Giurisprudenza di merito, ove è stato evidenziato, in materia di danno non patrimoniale conseguente alla condotta fedifraga, che “l'adulterio della moglie, concretizzato dalla nascita di un bambino concepito con altro uomo costituisce condotta illecita fonte di un danno non patrimoniale di cui il marito può esigere il risarcimento, una volta che sia stata accolta la domanda di disconoscimento della paternità, atteso che sono ormai risarcibili i c.d. danni da illecito endofamiliare, derivanti dalla violazione dei diritti e dei doveri nascenti dal matrimonio, sempre che ne sia derivato la lesione di beni costituzionalmente rilevanti” (cfr. Corte d’Appello di Napoli, sent. 19 ottobre 2011).

Ed ancora è stato evidenziato che “costituisce violazione di fondamentali diritti della persona, collocati al vertice della gerarchia dei valori protetti dall'art. 30 della Costituzione, l'esclusione di un figlio dalle cure materiali e morali che sono ad esso dovute in quanto tale, idonea a determinare la configurabilità di un illecito civile, cosiddetto endofamiliare, riconducibile nella previsione di cui all'art. 2043 c.c. La violazione dei predetti valori, dunque, non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, poiché dalla natura giuridica degli obblighi suddetti discende che la relativa violazione, ove cagioni la lesioni di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell'illecito civile e dal luogo ad una autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c.” (cfr. Corte d’Appello di Palermo, sent. 24 settembre 2012; ex multis Cass. civ. Sez. I, 22 luglio 2014, n. 16657).

La configurazione dell’illecito endofamiliare quale categoria dotata di autonomia concettuale non appare, per ciò, trovare riscontri in giurisprudenza ove, di contro, è locuzione utilizzata per contrassegnare l’illecito aquiliano perpetrato all’interno della famiglia tramite condotte integranti parimenti violazioni particolarmente gravi dei doveri coniugali o genitoriale.

La particolare inclinazione lesiva della condotta illecita, tuttavia, risponde alla precipua esigenza di assicurare la censura di condotte tali da oltrepassare la soglia di tollerabilità del danno di modo da circuire il perimetro risarcitorio intorno all’ingiustizia costituzionalmente qualificata.

A corroborare la tesi dell’autonomia concettuale dell’illecito endofamiliare, di contro, taluni autori riportano la disposizione contenuta nel novello art. 709 ter cod. proc. civ. ove è attribuito al Giudice il potere di pronunciare, unitamente ai provvedimenti tesi a rimuove i pregiudizi conseguenti ad inadempimenti di obblighi posti a corollario della responsabilità genitoriale di “il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore”, come anche di disporre il risarcimento “a carico di uno dei genitori nei confronti dell’altro” in presenza di danni conseguenti a violazioni dei doveri coniugale.

Si tratterebbe, secondo l’impostazione dedotta a sostegno dell’autonomia concettuale dell’illecito endofamiliare, di un’ipotesi in cui il risarcimento del danno non patrimoniale potrebbe essere riconosciuto indipendentemente dalla lesione di un interesse costituzionalmente garantito.

Invero la tesi non ha trovato eco in giurisprudenza ove è stato più volte affermato che “le questioni connesse al c.d. illecito endofamiliare vanno trattate in un ordinario giudizio di cognizione [mentre] l'art. 709-ter c.p.c. ha lo scopo di garantire la soluzione delle controversie familiari in corso - insorte vuoi nell'ambito di una lite già pendente fra i genitori vuoi nell'ambito di una situazione già definita, ma suscettibile di modifica”.

Trattasi, in ragione dell’utilizzo fattosene in giurisprudenza, di uno strumento deputato a “stimolare l'adempimento dei doveri genitoriali anche mediante l'adozione dei provvedimenti sanzionatori previsti dal secondo comma di tale norma” con la conseguenza che “l'indagine del Tribunale deve essere limitata all'accertamento di eventuali gravi inadempienze agli obblighi posti a carico del padre nella sentenza di divorzio” (in questo senso cfr. Trib. di Reggio Emilia, sent. 3 marzo 2008).

Ergo vero è che l’art. 709 ter cod. proc. civ. consente al Giudice di attribuire in beneficio di un coniuge o della prole, il diritto a percepire il risarcimento dei danni conseguenti all’altrui violazione dei doveri coniugali o genitoriali, indipendentemente dall’individuazione di un’ingiustizia costituzionalmente qualificata, ma ciò è previsto in prospettiva general-preventiva, quale strumento di coercibilità nell’esecuzione, quasi forzosa, dei doveri discendenti dal coniugio o dalla responsabilità genitoriale.

Non si tratta, quindi, del risarcimento dei danni endofamiliari, per i quali è necessario riferirsi alla struttura dell’illecito aquiliano, ed ai canoni ermeneutici individuati dalle Sezioni Unite nelle cd. sentenze gemelle di San Martino ai fini dell’individuazione dell’ingiustizia costituzionalmente tutelata, bensì in uno strumento, a trazione spiccatamente sanzionatoria, volta ad aggravare la situazione di responsabilità oltre gli specifici rimedi già previsti dal diritto familiare, in un’ottica teleologicamente orientata alla dissuasione da tali condotte inosservanti.

1.1     (segue) La tesi della natura contrattuale dell’illecito endofamiliare

Nonostante la giurisprudenza sia stata pressoché unanime nel paventare l’applicazione della tecnica aquiliana alle ipotesi di illecito endofamiliare, in dottrina non è mancato il dissenso di chi predilige la declinazione in chiave contrattuale del paradigma di responsabilità da danni endofamiliari.

La tesi della natura contrattuale di tale profilo di responsabilità civile trova agomenti giustificativi nella inconciliabilità tra la cd. responsabilità delittuale e la preesistenza di un rapporto giuridico tra le parti, nonché nella maggiore aderenza della rapporto inadempimento-responsabilità con riferimento a quelle condotte contrassegnate da violazioni di specifiche prescrizioni comportamentali.

La pregnanza con cui il principio di solidarietà investe le relazioni coniugali e genitoriali, è stato sottolineato, realizza un tendenziale affidamento caratterizzante le relazioni familiari, avverso cui la violazione delle prescrizioni comportamentali tipiche del diritto di famiglia, parrebbe configurarsi quale lesione degli obblighi di protezione.

La teorica degli obblighi di protezione, del resto, sarebbe in grado di valorizzare le relazioni di prossimità, rendendo preferibile, anche sotto il profilo applicativo, l’impego della tecnica contrattuale.

La principale obbiezione sollevata avverso la tesi della natura contrattuale dell’illecito endofamiliare, fà leva sull’assenza del carattere di patrimonialità di taluni doveri coniugali declinabili a partire dall’art. 143 cod. civ., quali l’obbligo di assistenza morale, l’obbligo di fedeltà, l’obbligo di collaborazione e coabitazione, che di certo non possono ritenersi obbligazioni.[1].

1.2     L’illecito endofamiliare e la tesi del danno ingiusto in una relazione qualificata

A mediare tra le contrapposte tesii è stata paventata la plausibilità dell’assoggettamento di un obbligo originario di responsabilità da fatto illecito, in tutto o in parte, alla disciplina della responsabilità contrattuale.

Secondo tale ultima tesi, l’interprete potrebbe, all’esito di un bilanciamento tra le posizioni del responsabile e del danneggiato, autorizzare l’impiego delle regime della responsabilità contrattuale nel riconoscimento dell’obbligo risarcitorio da fatto illecito.

Proseguendo per tal via, come osservato in dottrina (ANZANI), occorrerà chiedersi quando un fatto illecito possa essere tanto simile ad inadempimento da giustificare la soggezione del diritto al risarcimento alle regole della responsabilità contrattuale pur in mancanza di inadempimento di un obbligo primario.

Il punto di partenza di tale teorica muove da un’interpretazione estensiva del rapporto giuridico tale da ricomprendervi non solo i rapporti di natura obbligatoria, ma anche quelli di natura reale nei quali, indipendentemente dalla sussistenza di un obbligazione in senso tecnico, è frequente rinvenire posizioni assimilabili al cd. interesse legittimo.

In tal senso la violazione di dovere, latu sensu inteso, concretizzatosi nel mancato compimento di un comportamento atteso ma concretamente inesigibile, configurerebbe la violazione di un interesse legittimo, determinando una situazione di responsabilità, in capo al danneggiante, tale da “emulare” la responsabilità contrattuale.

Un ampio concetto di rapporto giuridico, per tanto, sta alla base della possibilità di applicare il regime della una responsabilità contrattuale anche quando il rapporto sfugga ai canoni della patrimonialità ai sensi dell’art. 1174 c.c., come nel caso di un rapporto familiare.

Pur approdando alla responsabilità contrattuale, per ragioni di opportunità e convenienza, quantomeno sotto il profilo applicativo, rimane impregiudicata la necessità di individuare un discrimen tra inadempimenti in senso tecnico e violazione di rapporti non obbligatori.

Tale discrimen va individuato, secondo la riportata teorica, che lo scrivente ritiene di condividere, nell’emersione dell’ingiustizia, la quale è implicita nella lesione dell’interesse creditorio da parte del debitore inadempiente, mentre va accertata al di fuori dei tradizionali confini della responsabilità contrattuale.

Sotto tale profilo la teorica degli obblighi di protezione rappresenta un comodo escamotage per aggirare la necessità dell’accertamento dell’ingiustizia costituzionalmente qualificata, tramite la mimetizzazione dell’omesso controllo nel richiamo al contatto sociale qualificato.

La natura della responsabilità da illeciti endofamiliari, nell’eccezione della tesi degli obblighi di protezione, non oltrepassa indenne l’accertamento di tutti gli elementi costitutivi della sua fattispecie, che nella sostanza è e resta un illecito aquiliano.

Tuttavia la fisionomia dell’elemento prodromico alla responsabilità, calata nel rapporto endofamiliare e declinata nella violazione degli obblighi coniugali e genitoriali, rende convenevole, quantomeno sotto il profilo applicativo, il privilegio per la tutela contrattuale, nella declinazione di una responsabilità da ingiustizia in una relazione qualificata, categoria da ampi margini, che nelle relazioni familiari troverebbe, tuttavia, terreno di elezione.[2]

4. Conclusioni

Il diritto di famiglia rappresenta un fulvido esempio di come il significato delle norme giuridiche può variare drasticamente, risentendo della progressiva mutabilità del sentimento comune, pur lasciandosene invariato il significante.

A corroborare le predette considerazioni si consideri la declinazione precipuamente soggettiva che la giurisprudenza ha via via attribuito al requisito dell’intollerabilità della convivenza, nonché la permeabilità della società naturale agli strumenti di diritto comune.

L’istituzione familiare, ad oggi, pur tutelata nelle sue plurime declinazioni, difetta, per ciò, della capacità di imporsi quale nucleo informatore della società almeno sicché la proiezione superindividuale del preminente interesse del consorzio familiare soccomberà nel bilanciamento con gli interessi personali dei suoi componenti.

Il rischio è, in buona sostanza, quello che il progressivo sfaldamento del collante elementare della nostra struttura sociale, costituito dalla cd. società naturale, conduca progressivamente allo sfaldamento del tessuto sociale sotto la spinta di una deriva personalistica ed eterodirezionale.

dott. Salvatore Tartaro

Articolo estratto da "L'istituzione familiare alla luce dell'evoluzione sociale e nomativa", in pubblicazione su www.diritto.it

 

[1] Criticamente è stato osservato, con riferimento all’inadeguatezza del paradigma dell’illecito contrattuale, che “A venire in rilievo non è più, infatti, come osservato dalla angolazione dei doveri tra coniugi, un «ammanco» assiologico della fattispecie, bensì, per così dire, una sua sporgenza strutturale, che inesorabilmente si riverbera sul versante della responsabilità di cui è scaturigine: il riferimento è – ma vi si tornerà fra breve – alla imprescindibilità del dolo (generico) in colui che tenga la condotta lesiva, ai fini della imputabilità di un obbligo risarcitorio, se del caso aggiuntivo rispetto all’operare del rimedio «proprio» (ad esempio la decadenza dalla potestà

genitoriale, ex art. 333 cod. civ. ovvero le misure di cui all’art. 342 ter cod. civ.). Il che è, però quanto dire, dal punto di vista considerato, di una responsabilità che allora, per struttura, si rivela altra da quella contrattuale, ai fini della cui venuta ad esistenza rimane infatti del tutto ininfluente ogni connotazione soggettiva della condotta, seppure interferente con l’operare di cause di giustificazione”, cfr. Camilleri E., Violazione dei doveri familiari, danni non patrimoniali e paradigmi risarcitori, in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 6 del 6 giugno 2012.

[2] Sull’argomento cfr. Anzani G., Illeciti tra familiari e adattamento della responsabilità civile: la responsabilità da ingiustizia in una relazione qualificata, in Il diritto della famiglia e delle persone, Fasc. 2, 2017.

Per approfondimenti cfr. Camilleri E., Violazione dei doveri familiari, danni non patrimoniali e paradigmi risarcitori, in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 6 del 6 giugno 2012; Mormile L., L’illecito endofamiliare, in Studium Iuris, I, 2015.

 

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