In fatto ed in diritto: un caso pratico di furto con destrezza. Delitto di furto - Reato circostanziato - Recidiva - Tenuità del fatto

Il caso:

Tizio, nel momento in cui sta per uscire da un bar, ove ha appena consumato un caffè, si avvede che Sempronio, proprietario del bar si allontana dalla “cassa” per parlare con alcuni clienti dimenticando sul tavolino il suo computer portatile. Profittando della distrazione del titolare e degli altri clienti, Tizio si impossessa del computer occultandolo in una borsa nera che portava con sé.

Il PC era stato appena acquistato al prezzo di € 1.200,00.

Tizio, già condannato 2 anni prima per delitto contro il patrimonio, è identificato dalla polizia attraverso la visione di un filmato della videocamera di sorveglianza.

Tizio si rivolge a voi per un parere sulle conseguenze penali del suo gesto.

Parere pro veritatae:

La soluzione della questione portata all’attenzione dello scrivente necessita della preliminare trattazione dell’istituto delle circostanze del reato.

Il reato è circostanziato allorquando agli elementi di tipicità del reato base si aggiunge un elemento fattuale, oggettivo o soggettivo, che la legge penale individua quale presupposto per un livellazione in aumento, o in diminuzione, del quantum respondeatur e delle modalità di estrinsecazione (quomodo) della risposta sanzionatoria. Occorre pertanto distinguere, anzitutto, tra circostanze aggravanti ed attenuanti. Quest’ultime, in ottica di favor rei, vengono applicate obiettivamente, e cioè sulla scorta del mero accertamento, ed indipendentemente dalla verifica dell’elemento soggettivo (art. 59, co. 1 c.p.). Per converso, le circostanze aggravanti, sono soggette ad una rigorosa applicazione conforme al principio della responsabilità penale colpevole ex art. 27, co. 3 cost., con la conseguenza che “sono valutate a carico dell’agente solo se conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa”. Ulteriore distinzione deve essere operata tra le circostanze obiettive (art. 70, co. 1 n. 1 c.p.), che arricchiscono l’elemento di tipicità del reato base, e circostanze soggettive che attengono all’elemento soggettivo, in grado di incidere sul grado di colpevolezza (art. 70, co. 1 n. 2 c.p.) ovvero sulle giudizio di capacità criminale del reo in grado di rilevando, per ciò, ex art. 133, co. 2 c.p. sulla gradazione del quantum respondeatur ma anche sul quomodo della risposta sanzionatoria (art. 70, co. 2 c.p.).

Ulteriore distinzione può essere operata sulla scorta degli effetti. A tal uopo si parla di circostanze ad effetto comune, con riferimento a quelle che, determinano un oscillazione del trattamento sanzionatorio inferiore ad un terzo; qualora, invece, per effetto dell’applicazione della circostanza, il trattamento sanzionatorio subisce una livellazione, in aumento o diminuzione, superiore ad un terzo, si parlerà di circostanza ad effetto speciale.

Si tratta, per tanto, di elementi accessori di un reato già perfezionato, cd. accidentalia delicti, il cui mancato accertamento non incide sulla configurabilità della responsabilità penale, ma la cui ricorrenza determina precipue conseguenze applicative non solo in ordine al quantum respondeatur ed al quomodo della risposta sanzionatoria, ma anche sotto il profilo della procedibilità.

Fatta tale premessa, nel caso di specie si occorre stabilire se la condotta di spossessamento di un bene altruì posta in essere approfittando della temporanea distrazione del soggetto che la detiene integri un ipotesi di delitto circostanziato, e più specificatamente un ipotesi di furto commesso con destrezza ex art. 624, co.1 e 625, n. 4 c.p..

In via gradatamente subordinata occorrerà verificare se il valore della res furtivae è idoneo ad integrare l’aggravante comune di cui all’art. 61 n. 7 c.p. e se ricorrono circostanze aggravanti di tipo soggettivo.

Preliminarmente si consideri che il furto cd. semplice, incriminato all’art. 624 c.p., è un delitto doloso di evento contro il patrimonio, a forma libera, punibile a querela della persona offesa, consistente nella volontaria e cosciente sottrazione di un bene altrui dalla disponibilità del suo detentore e conseguente impossessamento da parte del reo. Diversamente il furto aggravato è procedibile officiosamente, nelle ipotesi di cui all’art. 61, n. 7 e 625 c.p.

Le note modali del fatto tipico, quindi, si articolano nel compimento di una condotta finalizzata alla sottrazione di un bene altri con conseguente definitiva perdita della disponibilità e del potere di signoria sulla res furtivae da parte del detentore e conseguente passaggio della stessa nella piena disponibilità del reo, con la conseguenza che sicché il ladro non abbia acquisito la piena disponibilità della cosa, il delitto sarà configurabile solo nella forma tentata (Cass. Pen. Sent. 19 aprile 1960), non essendo invece richiesto l’effettivo trasporto della cosa da un luogo ad un altro (Cass. Pen., sent. 20 ottobre 1987).

L’elemento soggettivo, invece, implica che il reo abbia coscienza e volontà di impossessarsi di un bene, di cui riconosce l’altruità giuridica, sottraendolo a chi lo detiene.

Con riferimento al caso di specie, quindi, si tratta, in via principale, di stabilire se la condotta posta in essere da Tizio, il quale si è impossessato di un computer lasciato temporaneamente incustodito dal titolare di un bar ove lo stesso si era recato per consumare un caffè, integri la condotta tipica del furto semplice, ovvero se, per la peculiare inclinazione offensiva della condotta e/o per il valore della res furtivae, si tratti di un delitto circostanziato con le predette conseguenze in ordine alla livellazione del trattamento sanzionatorio ed al regime di procedibilità.

La prima circostanza aggravante che occorre esaminare è quella relativa alla destrezza nella realizzazione della condotta. Si tratta di una circostanza ad effetto speciale, atteso che, mentre il furto semplice è punito su querela della persona offesa, con la reclusione da tre mesi a tre anni, il furto aggravato ex art. 625 è punito, con procedibilità ex officio, con la reclusione da uno a sei anni, di tipo obiettivo, che costituisce elemento di specializzazione della condotta.

Il deficit di tassatività-determinate del delitto di furto aggravato ex art. 625, n. 4 c.p. ha determinato l’insorgere di un contrasto giurisprudenziale in ordine all’interpretazione del concetto di destrezza. L’impostazione tradizionale ravvisava la destrezza nella condotta dell’agente connotata “da una particolare abilità dell’agente, tale da menomare apprezzabilmente la capacità difensiva e la vigilanza del proprietario della cosa, comunque esse si prospettino nel momento della commissione del fatto; ne deriva che sussiste l’aggravante in questione allorché la condotta di sottrazione ed impossessamento del bene si realizzi mediante approfittamento – previo attento studio dei movimenti della vittima – delle condizioni più favorevoli per cogliere l’attimo del momentaneo distacco del proprietario” dal bene oggetto del reato (Cass. Pen., sent. 23 marzo 2005, n. 15262). Per converso, un interpretazione estensiva e meno attenta agli elementi che connotano la peculiare attitudine criminale del ladro agile, recentemente in voga presso certa giurisprudenza di merito, ed avallata anche da alcune pronunce della Corte di legittimità, aveva ritenuto che ai fini della configurabilità dell’aggravante della destrezza “non è richiesto l’uso di una eccezionale abilità, essendo sufficiente che si approfitti di una qualunque situazione soggettiva od oggettiva favorevole ad eludere la normale vigilanza dell’uomo medio” (Cass. Pen. Sent. 16 marzo 2010, n. 16276), con la conseguenza che per destrezza dovrebbe intendersi “la particolare abilità di cui si avvale l’autore del furto per sorprendere l’attenzione della persona offesa nella custodia della cosa, quando l’agente approfitti di una condizione contingentemente favorevole e di una frazione di tempo in cui la parte offesa abbia momentaneamente lasciato la vigilanza della cosa perché impegnata, nello stesso luogo immediatamente prossimo, per curare attività di vita o di lavoro” (Cass. Pen., sent. 7 giugno 2012, n. 23108).

Viste le precipue conseguenze in ordine al regime di procedibilità, ma anche all’applicabilità della condizione di non punibilità per tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., il contrasto insorto in ordine all’interpretazione della nozione di destrezza è stata rimesso alle Sezioni Unite che hanno ritenuto di aderire all’orientamento tradizionale.

E’ stato evidenziato, infatti, che la ratio della circostanza è quella di determinare una livellazione in aumento del trattamento sanzionatorio in ipotesi in cui l’aggressione al bene giuridico si connota per efficacia, rapidità scaltrezza, agilità e qualsiasi altro indice di accresciuto spessore criminale del reo in grado di incidere sulla capacità di vigilanza del detentore. E’ perciò necessario che la condotta destra sia preordinata ad agevolare la sottrazione della cosa, con la conseguenza che non appare necessaria la configurazione di abilità motorie e fisiche, potendo ben essere sintomo di accresciuto spessore criminale, l’atteggiamento del reo preordinato allo studio delle abitudini del detentore ed all’individuazione del momento maggiormente confacente alla perpetrazione dello spossessamento. Alla luce delle predette argomentazioni, la Corte d Cassazione, in composizione nomofilattica ha pronunciato il seguente principio di diritto “ la circostanza aggravante della destrezza (…) richiede un comportamento dell’agente, posto in essere prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, caratterizzato da particolare abilità, astuzia o avvedutezza, idoneo a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza sul bene stesso,; sicché non sussiste detta aggravante nell’ipotesi di furto commesso da chi si limiti ad approfittare di situazioni, dallo stesso non provocare, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore dalla cosa” (Cass. Pen., Sez. Un, sent. 27 aprile 2017 , n. 34090).

E’, per ciò, evidente che, nel caso di specie, la condotta di sottrazione ed impossessamento perpetrata da Tizio non si connota per peculiare destrezza idonea ad integrare la fattispecie circostanziata di cui al combinato disposto ex artt. 624, co. 1 e 625 n. 4 c.p. avendo lo stesso colto l’occasione di improvviso momento di spontanea distrazione del detentore non dallo stesso indotto tramite l’adozione di peculiari astuzie, ai fini della consumazione della condotta furtiva,

Se fatte tale premesse può escludersi l’aggravamento del delitto di furto per ricorrenza dell’aggravante ex art. 635 n. 4 c.p., occorre stabilire se l’entità del valore della res furtivae possa integrare gli estremi del danno di rilevante gravità, presupposto per l’applicazione dell’aggravante ad effetto comune di cui all’art. 61, n. 7 c.p..

A tal proposito, lo scrutinio di rilevante gravità del danno deve essere condotto sulla base del criterio oggettivo del livello economico medio della comunità sociale nel momento storico, e cioè indipendentemente dal dato soggettivo della capacità patrimoniale della parte offesa (ex multis Cass. Pen., sent. 27741/2011; Cass. Pen., sent. 41686/2010; Cass. Pen., sent. 33408/2009).

Alla stregua di tale criterio è evidente che il danno patrimoniale recato al patrimonio della persona offesa deve considerarsi di rilevante entità, nel senso su esposto, essendo la res furtivae un personal computer dal valore di €. 1.200,00, oggettivamente superiore a quello della media di mercato, e certamente consistente in riferimento al contesto economico al momento della commissione del fatto.

Tuttavia, trattandosi, di circostanza aggravante, e cioè norma penale di sfavore in quanto suscettibile di determinare un peggioramento del trattamento sanzionatorio, è di tutta evidenza che la corretta applicazione esigerà la rigorosa prova dell’elemento soggettivo, e cioè la prova del fatto che il rilevante valore economico della res furtivae abbia fatto parte del momento rappresentativo e concorso alla determinazione del momento volitivo.

Qualora, infatti, non si pervenisse alla prova del dolo nell’elemento circostanziato, l’imputazione dovrebbe essere derubricata in furto semplice con tutte le conseguenze già spiegate in punto di trattamento sanzionatorio e procedibilità dell’azione penale.

Appare altresì doveroso precisare che ricorrono, nel caso di specie, gli estremi per l’applicazione della recidiva infraquinquennale specifica ex art. 99, co. 2 e 3 c.p., costituente circostanza soggettiva ad effetto speciale (Cass. Pen., Sez. Un., sent. 24 aprile 2011, n. 20798), in quanto Tizio ha riportato condanna penale per altro delitto non colposo della stessa indole, nei due anni precedenti alla commissione del fatto.

Alla luce delle precedenti argomentazioni Tizio potrebbe essere imputato per furto aggravato dalla rilevante gravità del danno ex art. 624, co. 1 e 61 n. 7 c.p. in concorso con la recidiva specifica infraquinquennale.

In tal caso, trattandosi di concorso omogeneo di circostanze aggravanti, il Giudice provvederà a determinare il trattamento sanzionatorio applicando, alla pena stabilita entro i limiti edittali di cui all’art. 624, co. 1 c.p., l’aumento sino alla metà previsto dall’art. 99 co. 2 c.p., ed applicando, alla pena computata, l’aumento di un terzo previsto per la ricorrenza della circostanza ad effetto comune. E’ altresì doveroso precisare che, indipendentemente dal risultato del computo numerico della pena, avendo Tizio, nei due anni precedenti, riportato una condanna penale per un reato della stessa indole, ricorre la recidiva specifica infraquinquennale, essendo ciò solo sufficiente ad per escludere la non punibilità per tenuità del fatto prevista all’art. 131- bis c.p.

dott. Salvatore Tartaro

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