In fatto ed in diritto: un caso pratico. L'annullabilità della liberalità donativa posta in essere dal soggetto sottoposto ad amministratore di sostegno.
Il caso di specie:
Tizio, con provvedimento del Giudice Tutelare è stato nominato amministratore di sostegno del fratello minore Sempronio, affetto sin da piccolo, da una grave patologia neurologica che non gli consente di provvedere pienamente al compimento delle occupazioni quotidiane.
Tizio, per altro, si è preoccupato di inserire il fratello in una piccola comunità per consentirgli, sotto custodia di personale specializzato, si intrattenere rapporti con persone che presentano il suo stesso disturbo.
Nel corso degli anni Sempronio ha stretto un legame particolarmente intenso con Menvia, con la quale è solito trascorrere parecchie ore della giornata.
Una sera Sempronio confida a Tizio di aver regalato alla ragazza l’anello di fidanzamento della loro defunta madre, come simbolo della loro amicizia.
Tizio è piuttosto preoccupato dell’accaduto in quanto, benché l’anello non abbia un grande valore, è comunque un importante ricordo di famiglia a cui entrambi i fratelli sono parecchio attaccati.
Egli, quindi, si reca dal sottoscritto, per ottenere parere motivato in ordine alla possibiletà di rendere nulla, o quantomeno di annullare, la donazione effettuata da Sempronio, rappresentando altresì che il medico che ha in cura Sempronio, ha certificato un peggioramento delle sue capacità cognitive e mnemoniche.
Soluzione proposta:
Al fine di prospettare una soluzione al quesito sottoposto si rende necessaria una preliminare disamina del quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.
Anzitutto, in ragione della situazione limitativa della capacità di agire (ex art. 2 cod. civ.) in cui versa Sempronio per effetto del decreto emesso dal Giudice Tutelare, si rende opportuno esaminare l’istituto disciplinato agli artt. 404 ss. cod. civ..
L’istituto dell’amministrazione di sostegno è stato introdotto, nel nostro ordinamento, dall’art. 3 L. 9 gennaio 2004, n. 6, al fine di attribuire, ai soggetti che si trovano nell’impossibilità, anche temporanea e parziale, di occuparsi dei propri interessi, uno strumento che sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire (cfr. Cass. Civ., sent. 26/10/2011, n. 22332).
Si tratta, dunque, di uno strumento finalizzato a garantire la protezione della persona del beneficiari, in relazione alle sue effettive esigenze, senza che vengano necessariamente in rilievo interessi di natura patrimoniale (cfr. Cass. Civ., sent. 26/07/2018, n. 19896).
Il codice civile individua i presupposti per l’amministrazione di sostegno nell’incapacità, anche temporanea o parziale, derivata, in termini causalistici, da una menomazione fisica o psichica obiettivamente valutabile (cfr. Cass. Civ., sent. 28/02/2018, n. 4709) di provvedere ai propri interessi (cfr. Cass. Civ., sent. 26/20/2011, n. 22332).
L’ambito di applicazione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno va individuato, rispetto all’interdizione, non in relazione al grado di infermità, bensì nella maggiore duttilità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze del beneficiario (cfr. Cass. Civ., sent. 19/09/2005, n. 17962).
Tale duttilità è realizzata tramite la circoscrizione degli effetti interdittivi ai soli atti indicati nel decreto di nomina, come desumibile dall’art. 405, co. 5, n. 4 cod. civ..
Il beneficiario, dunque, conserva, per espressa previsione di legge (ex art. 409, co. 1 cod. civ.) la capacità di compiere validamente gli atti per i quali non è prevista la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno.
A differenza dell’inabilitazione e dell’interdizione, l’amministrazione di sostegno, dunque, non produce l’effetto legale di rendere annullabili tutti gli atti negoziali da questo compiuti.
A conferma di ciò, pare il caso di richiamare l’art. 412, co. 2 cod. civ., dal quale si deduce che, ove non espressamente previsto dal decreto emesso ex art. 405 cod. civ., gli atti negoziali compiuti dell’amministrato sono annullabili solo nei termini di cui al successivo art. 428 cod. civ..
Con riferimento al caso di specie, pare opportuno evidenziale che Sempronio risulta beneficiario dell’amministrazione di sostegno in ragione di un infermità che pregiudica la sua capacità di attendere alle occupazioni quotidiane.
Non si rileva, di contro, alcun esplicito riferimento in ordine alla limitazione della capacità di porre in essere atti di liberalità.
Così ricostruito il quadro normativo di interesse in ordine alla limitazione di agire a cui è sottoposto Sempronio, occorre soffermarsi sull’istituto delle donazioni.
Il codice civil definisce donazione quel contratto, sorretto da spirito di liberalità, in virtù del quale una parte (cd. donante) effettua un atto di disposizione in favore dell’altra (cd. donatario), assumendo su di se diritti o obbligazioni.
La giurisprudenza, facendo proprio il costrutto dogmatico elaborato in dottrina, ha confermato che gli atti di liberalità inter vivos sono sorretti da un elemento soggettivo, cd. animus donandi e da un elemento oggettivo, costituito dall’arricchimento del donatario, causalmente connesso al depauperamento del patrimonio del donante (cfr. Cass. Civ., sent. 26/05/2000, n. 6994).
Il contratto di donazione, ai sensi dell’art. 782 cod. civ., anche ove abbia in oggetto beni mobili, è soggetto alla forma vincolata ab sustantiam (cfr. Cass. Civ., sent. 15/03/2006, n. 5786), ad eccezion fatta per la cd. donazione manuale (cfr. Cass. Civ., sent. 30/07/1963, n. 2162).
In giurisprudenza è stata definita con la predetta locuzione, l’istituto di cui all’art. 783 cod. civ., disciplinante l’atto di liberalità avente in oggetto beni mobili di modico valore.
Il presupposto della modicità di valore, deve essere accertato alla stregua di un criterio oggettivo, per il quale di tiene del valore del bene e di un criterio soggettivo, che impone un indagine sul complessivo valore del patrimonio del donante (cfr. Cass. Civ., sent. 30/07/1963, n. 2162).
In applicazione dei predetti criteri, in giurisprudenza, si è ritenuto che, affinché una donazione mobiliare sia valida in assenza del requisito di forma, è necessario che non incida in modo apprezzabile sul patrimonio del donante (cfr. Cass. Civ., sent. 20/12/1994, n. 11304).
La donazione di modico valore, a differenza della donazione ex art. 769 cod. civ., è un negozio ad effetti reali, essendo previsto, a pena di nullità, la contestuale tradizione del bene che ne costituisce oggetto.
Le predette considerazioni si rilevano essenziali per la soluzione del caso di specie in quanto, al fronte dell’evidente assenza del requisito di forma, si rilevano indicazioni decisive in ordine alla modicità di valore del bene oggetto della donazione, nonché dell’effettiva tradizione dell’anello, consegnato a Menvia da Sempronio.
Pare opportuno precisare che la donazione deve avere in oggetto beni di proprietà del donante, di cui questi abbia la piena capacità di disporre (cfr. art. 774 cod. civ.), a pena di nullità della liberalità donativa per difetto di causa (cfr. Cass. Civ., sent. 15/03/2016, n. 5068).
A ciò si aggiunga che, ai sensi dell’art. 775 cod. civ., la donazione posta in essere da soggetti che versano in uno stato di incapacità di intendere e volere è annullabile, su istanza dello stesso donante, degli eredi e degli aventi causa, entro cinque anni dal giorno in cui la donazione è stata posta in essere.
Pare il caso di precisare, inoltre, che l’annullamento, ai sensi dell’art. 775 cod. civ., postula l’accertamento di uno stato di incapacità fattuale, svincolata dalla sussistenza di una sentenza di interdizione o inabilitazione.
Alla luce di quanto si qui esposto, pare opportuno, sin d’ora, precisare che Tizio non ha legittimazione attiva per richiedere l’annullamento dell’atto donativo ai sensi dell’art. 775 cod. civ..
Ciò posto, occorre dirimere le seguenti questioni.
Anzitutto se la donazione di modico valore posta in essere da Sempronio sia annullabile ai sensi dell’art. 412, co. 2 cod. civ..
A tale quesito pare doversi rispondere negativamente in ragione del fatto che, analizzando il caso di specie, non emergono elementi idonei ad affermare che il decreto emesso dal Giudice Tutelare abbia espressamente limitato la capacità di donare.
La predetta affermazione appare corroborata anche dai principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale, la quale ha confermato che nel nostro ordinamento non sussiste un generale dovere di donare in danno del beneficiario dell’amministrazione di sostegno, “fatti salvi gli specifici limiti imposti dal Giudice Tutelare ai sensi dell’art. 411, co. 4 cod. civ.” (cfr. Corte Cost. sent. 10/05/11, n. 114).
In secondo luogo occorre stabilire se la circostanza che il medico che ha in cura Sempronio ha certificato un peggioramento delle sue condizioni, possa avere rilevanza ai fini dell’impugnazione della liberalità donativa.
In vero, a mente dell’art. 407, co. 4 cod. civ., il Giudice Tutelare può, anche officiosamente, in ogni tempo, modificare il contenuto del decreto di modo da estendere, o ridurre, gli effetti interdittivi dell’amministrazione di sostegno.
A ciò si aggiunga che la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto al Giudice Tutelare un potere officioso atto a limitare la capacità di donare e testare del beneficiario, ove accerti che le condizioni psico-fisiche del beneficiario non gli “consentono di esprimere una libera e consapevole volontà” (cfr. Cass. Civ., sent. 21/05/2018, n. 12460).
In ragione di ciò Tizio appare legittimato a proporre ricorso al Giudice Tutelare, chiedendo l’annullamento dell’atto donativo ai sensi dell’art. 412, co. 2, per violazione di legge, sollecitando altresì l’estensione degli effetti interdittivi dell’amministrazione di sostegno, ai sensi dell’art. 411, co. 2 cod. civ..
Sul punto, tuttavia, pare il caso di precisare che, in applicazione dei principi generali in materia di onus probandi, la prova dei fatti posti alla base della domanda di annullamento della donazione, grava sull’amministratore di sostegno che ricorre al Giudice Tutelare.
A tal’uopo, dunque, pare il caso di evidenziare che tale prova può essere fornita con ogni mezzo (cfr. Cass. Civ., sent. 23/09/2005, n. 2085), finanche mediante la produzione di idonea e comprovante documentazione medica dalla quale evincere la rilevanza etiologica del peggioramento delle condizioni dell’amministrato, nella formazione della volontà donativa (cfr. Cass. Civ., sent. 17/07/2013, n. 21148).
Alla luce delle argomentazioni su esposte si ritiene che Tizio, nelle qualità di amministratore di sostegno, potrà ricorrere al Giudice Tutelare chiedendo l’annullamento dell’atto di liberalità posto in essere da Sempronio, rappresentando che l’aggravamento delle sue capacità cognitive e mnemoniche abbia inciso sulla formazione della volontà donativa.
Sul punto, è bene ricordare che, l’esito positivo dell’azione di annullamento soggiace alla prova che, nelle circostanze di tempo in cui si è stata posta in essere la donazione manuale, Sempronio versava in una condizione di incapacità di intendere e di volere tale da lasciar presumere che il consenso prestato non sia stato libero e consapevole.
A tal uopo potrà soccorrere anche la certificazione medica rilasciata dal medico che ha in cura Sempronio che si appaleserebbe quale decisiva ove sia stata rilasciata in data precedente al compimento dell’atto di liberalità.
Nell’ambito del medesimo ricorso, Tizio, potrà sollecitare l’estensione degli effetti interdittivi dell’amministrazione anche alla capacità di testare e donare, ai sensi dell’art. 411, co. 4 cod. civ., di modo da apprestare una tutela maggiormente pregnante, nell’interesse anche del patrimonio dell’amministrato, sulla scorta della predetta certificazione ed indipendentemente dall’esito dell’azione di annullamento.
Pare il caso di rappresentare altresì che, ove l’anello oggetto della donazione non fosse di esclusiva proprietà di Sempronio, essendo, per converso, riconducibile ad una comunione ereditaria indivisa, come parrebbe potersi desumere in assenza di indicazioni in senso contrario, l’atto di liberalità si appaleserebbe nullo per difetto di causa.
dott. Salvatore Tartaro