In fatto ed in diritto: un caso pratico. La prescrizione del diritto potestativo di accettazione dell'eredità in ipotesi di sopravvenienze nella massa attiva dell'asse ereditario.
In fatto:
Caio dona al proprio parente più prossimo Tizio la proprietà di due immobili in cambio dell’assistenza che il donatario avrebbe prestato nei confronti dello stesso donante.
Accade tuttavia che Tizio non adempia tale onere e altri parenti agiscano per la risoluzione della donazione. La risoluzione viene pronunciata con sentenza del Tribunale, confermata dalla corte di appello e passata in giudicato quindici anni dopo la morte di Caio.
A seguito di tale pronuncia i predetti parenti chiedono la restituzione dei beni in questione a Tizio, il quale tuttavia rifiuta, affermando di essere comunque lui erede di Caio in quanto parente più prossimo. Gli altri parenti ritengono invece che Tizio abbia perso ogni diritto successorio, non avendo mai accettato l’eredità di Caio.
Tizio replica, però, che al momento dell’apertura della successione di Caio i beni appartenenti al de cuius erano stati fatti oggetto di una precedente donazione in suo favore; benché fosse pacificamente chiamato all'eredità, Tizio non aveva alcuna ragione logica o giuridica per accettare l'eredità, stante l’assenza di beni nell’asse ereditario.
Secondo Tizio, infatti, tale ragione si è ripresentata solo allorquando, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che aveva risolto la donazione, i beni erano rientrati a far parte dell'asse ereditario.
A fronte di tali contestazioni, gli altri parenti si rivolgono allo scrivente per avere un parere in merito all’intervenuta prescrizione del diritto di Tizio di accettare l’eredità di Caio.
In diritto:
Al fine di verificare la fondatezza delle pretese e la correttezza della tesi difensiva esplicata a corredo da Tizio occorre, in via preliminare, analizzare gli istituiti civilistici che vengono in rilievo nel caso di specie.
Anzitutto occorre evidenziare che l'atto di liberalità posto in essere da Caio in beneficio di Tizio deve ricondursi all’istituto della cd. donazione modale.
Trattasi di donazione gravata da un onere (cfr. art. 793, co., 1 cod. civ.), il quale deve integrare gli estremi dell’obbligazione in senso giuridico, e cioè deve essere suscettibile di valutazione patrimoniale e di esecuzione coattiva (cfr. Cass. Civ., sent. 8 giugno 1962, n. 1402; ex multis Cass. Civ., sent. 20 marzo 1976, n. 1024).
Il modus è, per tanto, assoggettato alla disciplina generale delle obbligazioni di talché, qualora sia previsto dall’atto medesimo, l’inadempimento del donatario legittima il donante o degli aventi causa ad esperire l’azione di risoluzione. (cfr. art. 793, co. 3 cod. civ.).
Trattandosi di atto di disposizione a titolo gratuito, la donazione modale realizza un sostanziale impoverimento del donante che trasfigura a carico dell’eredità in conseguenza alla sua dipartita.
Ne segue che all’apertura della successione (cfr. art. 456 cod. civ.) i beni oggetto dell’atto donativo risultano sottratti dall’asse ereditario mentre, per effetto della risoluzione del contratto di donazione, pronunciata su domanda degli eredi, sortiscono il ri-trasferimento nell’asse ereditario, entrando a pieno titolo in successione.
Nel caso di specie, dunque, per effetto il passaggio in giudicato della sentenza che ha dichiarato risolto l’atto di liberalità, i beni oggetto della donazione, costituenti l’intera massa attiva, devono ritenersi trasferiti nella comunione ereditaria.
La comunione ereditaria è costituita dall’intero patrimonio del de cuius e,sicché non diviene oggetto di divisione, appartiene in co-titolarità agli eredi universali.
La qualità di erede, pertanto, postula l’universalità dell’atto di disposizione mortis causa, e cioè implica il subentro dei chiamati, che effettuano tempestivamente l’accettazione, nella titolarità di tutte le posizioni attive e passive facenti capo al de cuis.
Dal combinato disposto di cui agli artt. 470, co. 1, 474 e 480, co. 1 e 2 cod. civ. desumiamo che il diritto del chiamato di accettare, in modo puro e semplice o con beneficio di inventario, tacitamento o espressamente, l’eredità, si prescrive in dieci anni decorrenti, di regola, dall’apertura della successione, e cioè dalla data di morte del de cuius (cfr. art. 456 cod. civ.).
Fanno da eccezioni le ipotesi tassative di cui all’art. 480, co. 2, 3 e 4 cod. proc. civ., recanti impedimenti giuridici ostativi all’esercizio del diritto di accettazione la cui ricorrenza determina lo spostamento del dies a quo a partire dal quale occorre computare il termine prescrizionale.
La prescrizione, si ricorderà, è quel meccanismo che determina l’estinzione di una posizione soggettiva attiva per effetto del decorso, nell’inerzia del titolare, di un lasso di tempo predeterminato dal legislatore.
Sulla decorrenza del termine prescrizionale e sull’interruzione di tale decorso, in specie nella materia trattata, la Giurisprudenza ha assunto posizioni perentorie, ribadendo il principio, ormai consolidato, secondo cui “l’impossibilità di far valere il diritto alla quale l’art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione è solo quello che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio (come nell’ipotesi dei figli naturali non riconosciuti e dichiarati tali giudizialmente dopo la morte dei genitore, per i quali il termine decennale di prescrizione per l’accettazione dell’eredità decorre solo dal passaggio in giudicato della decisione di accertamento del loro “status”, Cass. 19-10-1993 n. 10333), e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione tra le quali, salvo l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto” (cfr. Cass. Civ., sent. 8 gennaio 2013, n. 264).
Ciò posto, nel caso di specie, occorre stabilire se l’inesistenza di posizioni attive nella massa ereditaria abbia esonerato il chiamato Tizio, possessore, per altro titolo, di tutti i beni del de cuius, dall’accettare l’eredità nei termini di cui all’art. 480, co. 1 cod. civ. ovvero se eventuali sopravvenienze attive nell’asse ereditario siano idonee a determinare il revirement del diritto dei chiamati all’accettazione dell’eredità.
Alla luce di quanto sin qui esposto, ad onor di vero, le argomentazioni sostenute da Tizio si appalesano prive di pregio giuridico e la sua pretesa, in conseguenza, infondata in fatto ed in diritto.
Tizio, parente prossimo del de cuius, è pacificamente chiamato all’eredità nel momento dell’apertura della successione (ex art. 456 cod. civ.) ed, in virtù del combinato disposto di cui artt. 470, co. 1, 474 e 480, co. 1 e 2 (primo periodo) cod. civ., non ricorrendo alcune delle fattispecie tassativamente individuae all’art. 480, co. 2, 3 e 4 cod. civ., avrebbe dovuto esercitare il diritto potestativo (cfr. Cass. Civ., sent. 3 marzo 200, n. 511) di accettare l’eredità entro il decimo anno successivo alla dipartita di Caio.
A corroborare tale affermazio soccorre anche l’art. 485, co. 2 cod. proc. civ. il quale, nel disciplinare l’accettazione dell’eredità da parte del chiamato che sia possessore a qualsiasi titolo dei beni del de cuius, dispone che, salva l’applicazione del comma primo, il possessore che non abbia effettuato l’inventario dei beni del de cuius entro tre mesi dall’apertura della successione, si considera erede puro o semplice.
Ne segue che Tizio, donatario e possessore di tutti i beni costituenti l’intera parte attiva dell’asse ereditario, non risultando che abbia effettuato inventario ai sensi dell’art. 485, co.1 cod. civ., è erede puro e semplice di Caio a decorrere dal terzo mese successivo all’apertura della successione, ed in quanto tale avrebbe dovuto accettare l’eredità entro l’ordinario termine prescrizionale decorrente dalla morte del de cuius.
Ciò, in vero, indipendentemente dal fatto che al tempo stesso questi sia stato donatario dell’intera massa attiva e pertanto, indipendentemente dall’eventuale incapienza di posizioni attive nella massa ereditaria alla cui accettazione Tizio è stato chiamato, atteso che la qualifica di erede presuppone l’universalità dell’atto di disposizione, e cioè il subentro anche nelle posizioni passive facenti capo al de cuius.
In ordine all’efficacia delle sopravvenienze in termini di “revirement” del diritto all’accettazione ovvero di interruzione del decorso dell’ordinario termine, tale situazione effettuale appare da un lato inidonea a produrre effetti derogatori di norme imperative (in particolare con riferimento all’art. 480 cod. civ.), dall’altro riconducibile ad un mero impedimento soggettivo a cui la legge non attribuisce capacità interruttive del decorso del termine prescrizionale.
Dirimente, in tal senso, è quanto affermato dalla più recente Giurisprudenza di Legittimità secondo cui “in tema di successioni mortis causa, non influisce sulla decorrenza del termine di prescrizione per l’accettazione dell’eredità, di cui all’art. 480 cod. civ., la sopravvenienza di beni nell’asse ereditario, atteso che tale circostanza (…) non esclude la giuridica possibilità giuridica di accettare l’eredità, stante il carattere universale del fenomeno successoria, che comprende non solo i rapporti attivi, ma anche quelli passivi facenti capo al de cuius e rende, pertanto, irrilevante, ai fini dell’applicabilità del comma 2 della predetta norma, la mera ignoranza circa l’effettiva consistenza dell’asse relitto” (cfr. Cass. Civ., sent. 23 febbraio 2017, n. 4695).
In conclusione il diritto di Tizio di accettare l’eredità del de cuius Caio, si è prescritto allo spirare dell’ordinario termine decennale decorrente dall’apertura della successione, e cioè dalla morte di Caio, non rilevando né la temporanea incapienza della massa attiva, né le sopravvenienze successive alla risoluzione dell’atto donativo.
In conseguenza al passaggio in giudicato della sentenza che ha dichiarato la risoluzione dell’atto donativo, su Tizio grava l’obbligo di ritrasferire i beni oggetti dell’atto di liberalità nella comunione ereditaria.
Correlativamente, al fronte del diniego del suo inadempimento, i parenti di Caio hanno la facoltà di porre in esecuzione il titolo ai sensi degli artt. 612 ss. cod. proc. civ. ed, nelle qualità di e co-titolari della comunione ereditaria iure successionis, hanno diritto di essere immessi nel possesso dei beni detenuti da Tizio, le cui pretese risultano ormai sterilizzate dalla decorrenza del termine prescrizionale.
dott. Salvatore Tartaro