Profili di diritto ambientale: La protezione dell'ambiente dal rischio radiogeno

1. Le fonti sovra-nazionali. Un indagine relativa alla radioprotezione ambientale non può che prendere le mosse da quel nucleo cogente, riconducibile all’insieme delle fonti di diritto cd. debole, costituito dalle Raccomandazioni della Commissione Internazionale di Protezione Radiologica.

La recente raccomandazione n. 103 del 2007 (ICRP) segna un punto di svolta nella revisione dell’approccio antropocentrico della radioprotezione, posto che univocamente la letteratura scientifica concepiva l’ambiente come fattore concausale del detrimento fisico dell’uomo, come anche la Commissioni Internazionale ai fini del trasferimento dei radionuclidi attraverso di esso, aprendo all’introduzione di un modello di studio costituito sul medesimo pragmatismo operativo che ha connotato lo studio della radioprotezione dell’uomo.

Su un piano più generale, giova che la tutela ambientale dal rischio della contaminazione radioattiva ha avuto un sostanziale revirement in seguito al disastro di Chernobyl, che costituisce, tra l’altro, la piattaforma di studio maggiormente incisiva sul piano della radioprotezione ambientale.

Brevemente tengo a precisare che a discapito dei danni per lo più mortali subiti da flora e fauna massicciamente esposta al fallout radioattivo, si registra un’ottima capacità di adattamento dell’ecosistema anche se, è bene precisarlo, non è mancato di osservare qualche fenomeno veramente peculiare.

Esemplificativamente la disfunzione sessuale che ha indotto alcune tipologie di vermi a passare da una modalità di riproduzione asessuata ad una sessuato; oppure il dimezzamento della capacità di decomposizione delle carcasse morte.

Tutto ciò premesso solo per ritenere caute, a consuntivo, le conclusione della Commissione nella sezione della Raccomandazione n. 103 dedicata alla radioprotezione, nella quale pur non fissando alcun limite di immissione si orienta sulla falsa riga del pragmatismo operativo adottato nell’elaborazione dei modelli di radioprotezione dell’uomo al fine di predisporre in futuro indicazione più esaurienti.

Quanto alle conseguenze giuridiche del disastro di Chernobyl, si anticipava della forte spinta propulsiva al settore della cooperazione della sicurezza del nucleare, essendo evento prodromico che ha agevolato la stipula delle Convenzioni di Vienna sulla tempestiva notifica e sull’assistenza in caso di incidente nucleare, ed altri atti di diritto internazionale convenzionale accennati per completezza espositiva.

Quanto ai principi generali del diritto ambientale, seppur laconicamente, occorre ricordare quelli contenuti nella dichiarazione finale dell’Earth Summin a Rio de Janeiro.

Vale la pena precisare, per la portata sistematica e per l’idoneità a ribaltare l’organigramma antropocentrico della radioprotezione, il principio di precauzione che impone agli Stati di applicare tutte le misure tecniche necessarie per prevenire il rischio di contaminazione ambientale a causa di attività umane pericolose, senza che possano essere adotti quali giustificazione dell’eventuale omissione fattori di ordine economico o le incertezze scientifica.

Ben più pregnante è, invece, la sensibilità del legislatore comunitario sulla tematica de quo, tanto da rendere doverosa la precisazione che per diritto ambientale in senso stretto deve intendersi quell’elaborazione della dottrina comunitaria che ha potuto interpretarlo come un processo di percorsi adattativi dal contenuto dichiaratamente emergenziale.

Come già auspicato dalla Commissione Internazionale di Protezione Radiologica, è nel diritto Comunitario che si realizza, a mio modo di vedere, l’inversione logico concettuale di un rapporto di reciproca implicazione, incorrente tra l'azione dell'uomo e la sua salute e la salubrità dell'ambiente che lo circonda.

La teorica prende le mosse dalla curiosa formulazione dell’art. 33 del Protocollo n. 2 al Trattato di Lisbona (ex Trattato Euratom) che apparentemente equipara la protezione sanitaria della popolazione e quella dell’ambiente.

Senonché, si osserva, che ai sensi dell’art. 36 le informazioni relative ai livelli di contaminazione ambientale devono essere comunicati alla Commissione Europea per renderla edotta dei livelli di radionuclidi a cui potrebbe essere potenzialmente esposta la popolazione.

Per converso si osserva che una forma di tutela settoriale ed esclusiva è oggi rinvenibile nel TFUE posto che, da tal punto di vista, risulta decisiva la stessa scelta metodologica di dotare di autonomia normativa il diritto ambientale prevedendo uno specifico Titolo, il XX, rubricato giustappunto Ambiente.

Per completezza espositiva si osserva che il perno di tale sistematica è costituito dall’art. 191 che consente di ribaltare tale concezione antropocentrica posto che, quanto meno sul piano normativo, la protezione della salute umana segue quello della salvaguardia della qualità dell’ambiente, che suggerisce un inversione di tale rapporto di reciproca implicazione, da ricostruire imperniandolo sulla nozione di depauperamento dell’ambiente, in chiave di limitazione delle attività umane pericolose.

È propriamente dalla giurisprudenza comunitaria che il nostro ordinamento recepisce il concetto unitario di ambiente ricostruito dalla giurisprudenza costituzionale ed accolto all’art. 300 cod. amb., inteso come insieme di più fattori, e pedissequamente la valutazione della qualità delle sue componenti, come rielaborate nel d.P.C.M. n 337/1988 ai fini dalla valutazione dei fattori ambientali, tra cui si annoverano anche le valutazioni inerenti le radiazioni ionizzanti.

2. Il ciclo di gestione dei rifiuti radioattivi. Di particolare rilievo nell’ambito della tutela dell’ambiente dalla contaminazione radioattiva, oltre la questione preliminare della sicurezza del nucleare civile, quella consequenziale della corretta gestione del ciclo di rifiuti radioattivi.

In via generale vale la pena ripercorre, per grandi linee, i passaggi fondamentali della relazione conclusiva della bicamerale cd. Scalia che promanò l’esigenza della dichiarazione dello stato di emergenza oltre che spronare la realizzazione del sito unico di stoccaggio.

Su tali questioni tre considerazioni di carattere generale.

Quanto alla proliferazione incontrollata dei siti di stoccaggio ed alla conseguente situazione emergenziale, è chiaro che la situazione di confusione determinatasi in seguito all’abbandono del programma nucleare italiano abbia agevolato la commistione di interessi criminali nella cattiva gestione amministrativa dei siti di stoccaggio.

Dal punto di vista squisitamente giuridico ha rilievo la vicenda del bilanciamento tra principi contrapposti dell’ordinamento giuridico sottesa al conflitto di attribuzione tra poteri sollevato dal governo vero leggi regionali della Sardegna, della Basilicata e della Calabria, finalizzare a costituire un’area regionale denuclearizzata.

La vicenda prende le mosse dalla nota contrapposizione delle autonomie locali dello Scanzano Jonico, luogo individuato dalla Legge Marzano per la costituzione del sito di stoccaggio unico.

Nonostante il giudice delle Leggi abbia optato per la prevalenza dell’interesse di pubblica sicurezza alla realizzazione di tale sito rispetto all’interesse delle autonomie locali alla tutela ambientale, la costruzione di tale sito fu abbandonata rimanendo tutt’oggi un opera necessaria ed incompiuta.

3. Le norme penali. Le norme sulla gestione del ciclo dei rifiuti sono confluite nel d. Lgs. 230/1995 in modo disorganico. La normativa prevede un corpus di norme penali in materia di gestione del ciclo di rifiuti.

Tali contravvenzioni sono poste a tutela dell’interesse amministrativo a conoscere la quantità e la dislocazione sul territorio di tali sostanze ovvero a tutela della salute umana, di cui il profilo ambientale costituisce fattore mediato.

Quanto alla prima categoria, brevemente, si ricordano le fattispecie di cui al combinato disposto ex 137, comma 1 e 30, comma 1, che punisce le condotte di smaltimento in assenza dell’atto autorizzativo o in violazione delle prescrizioni contenute in tali atti.

A tal riguardo si pongono alcune constatazioni critiche sul piano della teoria generale del reato, muovendo dubbi di costituzionalità per violazione del profilo della riserva e dell’opzione determinatezza-tassatività.

Giova precisare che, con riferimento alla fattispecie imperniata sull’omissione dell’atto autorizzativo, le censure sono mosse verso la scelta di attribuire la competenza all’emissione del suddetto atto ad autorità Regionali, richiedendosi pur nella versione più elastica del principio della riserva, che siano organi dello stato centrale ad integrare la fattispecie penale in bianco secondo le note della giurisprudenza costituzionale.

Quanto alla criminalizzazione di qualunque violazione delle particolari prescrizioni di tale atto, le censure si muovono in ordine al principio di tassatività, quanto a quello dell’obbligatorietà dell’azione penale, posto che le prescrizioni particolari non sono presuntivamente dotate dei caratteri di generalità ed astrattezza che la giurisprudenza costituzionale riconosce quali requisiti delle note integrative delle fattispecie penali, come anche inidonee all’espressione di un giudizio di deplorazione tipico, posto che la violazione di tali prescrizioni postula valutazioni di ordine tecnico.

Si ricorda altresì, nell’ambito della medesima categoria, la contravvenzione in materia di omessa registrazione dei dati di riepilogo di cui al comb. disp ex artt. 137 e 34, comma 1 e 2.

Tale norma presentava evidenti lacune strutturali tali, a mio modo di vedere, da rasentare la lesione del principio di frammentarietà, non fornendo alcun discrimine idoneo ad individuare tra omissioni penalmente rilevanti, ed omissioni rilevanti solo sul piano amministrativo.

A tal uopo ho cercato di fornire un interpretazione adeguatrice muovendo dall’oggettività giuridica della norma sì da circuire l’operatività della sanzione penale in presenza di omissioni tale da menomare l’interesse amministrativo sotteso alla riepilogazione delle scorie.

Quanto alle sanzioni in materia poste a salvaguardia della salute umana si ricorda quella di cui al comb. disp. ex artt. 140, comma 1 e 102, che sanziona chiunque smaltisca rifiuti in violazione delle norme di buona tecnica.

In evidenza la questione preliminare di interpretare tale locuzione che funge da nota integrativa, e senza la quale la fattispecie sarebbe illegittima sul piano dell’opzione tassatività-determinatezza.

A mio modo di vedere il richiamo è ai principi di buona tecnica nella gestione del ciclo di rifiuti elaborati dall’APAT (oggi ISPRA), e cioè a quelli di differenziazione in base alle caratteristiche chimico-fisiche, di ottimizzazione e del rispetto del vincolo di dose individuale.

Poiché il principio di ottimizzazione non può fisiologicamente considerarsi norma precettiva, la norma può sanzionare solamente lo smaltimento indifferenziato di rifiuti appartenenti a differenti classi, e la violazione delle cautele in materia di consolidamento e stoccaggio che conducano al superamento del vincolo di dose.

Sul piano generale si osserva che la tecnica redazionale rispecchia quella adottata per le norme penali in materia di salute della popolazione e dei lavoratori, pertanto permangono le medesime perplessità in ordine tanto alla portata preventiva che alla capacità repressiva, posto che tali contravvenzione si caratterizzano per bene blande e privilegio per la composizione transattiva dell’illecito.

Sotto un profilo più ampio, in sede di commento, la questione viene spostata sul piano dell’idoneità del diritto penale a tutelare l’ambiente da forme di aggressione proteiforme, cercando di porre in risalto quella contraddizione interna alla più recente politica criminale comunitaria che, al fronte dell’esigenza dell’inasprimento del rigore sanzionatorio, continua a profilare pedissequamente perplessità in ordine ai profili di tipicità.

Si considerino, a tal riguardo, i reati di cui agli artt. 452-bis e 452-sexies c.p.

Cominciando da quest’ultimo, la norma incrimina le condotte di (1) cessione, (2) acquisto, (3) detenzione, (4) abbandono abusivo di materiale ad alta radioattività.

Si pongono due differenti questioni.

Anzitutto quello di coordinare la norma con il reato previsto all’art. 260 cod. amb. finalizzato alla repressione del fenomeno del business criminale del traffico illecito di rifiuti radioattivi.

Giusta la clausola di salvaguardia prevista al comma 1 dell’art. 452-sexies  il concorso apparente tra norme va indubbiamente risolto disapplicando la previsione codistica, costituendo la fattispecie prevista dal codice dell’ambiente reato più grave.

Problemi ermeneutici sorgono, in assenza di specifiche indicazioni del legislatore, con riferimento alla locuzione alta radioattività, ponendosi il precipuo problema di individuare quali tra i rifiuti catalogati nelle guide APAT costituiscano oggetto materiale del delitto de quo.

Quanto al delitto ex art. 452-bis c.p. nella Tesi si evidenzia la stretta correlazione tra il concetto eccessivamente aleatorio di inquinamento, e quello di superamento del vincolo di emissioni.

Posto che nel d.P.C.M. in materia di valutazione della qualità dell’ambiente, tra i fattori ambientali vi sono le radiazioni ionizzanti, è lecito ritenere che l’alterazione dei livelli standard di radioisotopi dispersi nell’ambiente costituisca già di per se fatto di inquinamento penalmente rilevante.

4. La tutela civile dell’ambiente. Dal punto di vista civilistico, sulla scorta delle note di giurisprudenza costituzionale (in particolare sent. 641/1988), il novello cod. amb. ha accolto la nozione unitaria dell’ambiente, ancorché composto da vari fattori, ricostruendo il danno ambientale quale deterioramento misurabile dei livelli di qualità delle varie componenti, sancendo il privilegio per l’azione restitutoria.

A tal riguardo è interessante la ricostruzione parallela dei profili amministrativi, civili e penali della tutela dell’ambiente che prende le mosse dall’analisi del procedimento di istruttoria disciplinato agli artt. 311 ss. cod. amb.

A tal riguardo si pongono in evidenza le questioni relative all’alternatività dell’istruttoria finalizzata all’emissione dell’ordinanza ex art. 314 cod. amb., l’alternatività dell’ingiunzione di pagamento e la subordinazione al ripristino dello status quo ante, nonché l’auspicabilità della costituzione quale persona offesa dal reato nel processo penale da parte dello Stato, posto che il diritto vivente ha riconosciuto a tale soggetto il diritto ad indicare fonti probatorie in ogni stato e grado del processo, che a ben vedere l’amministrazione ha già assunto nell’istruzione del procedimento per ordinanza.

Il procedimento per ordinanza non pregiudica l’esercizio del rimedio risarcitorio a tutela di interessi privati.

5. La configurabilità della tutela della salute umana avverso fenomeni di aggressione progressiva di matrice ambientale potrebbe passare per un’applicazione estensiva dell’art. 844 c.c.? Fonte di profonda riflessione è quel filone giurisprudenziale che ha cercato di espungere l’azione inibitoria ex art. 844 c.c. dal catalogo chiuso delle azioni reali, ricostruendola quale forma di tutela immediata a danni a formazione progressiva, addirittura indipendentemente dal rapporto di titolarità del fondo che subisce le immissioni intollerabili.

Se l’orientamento tradizionale e consolidato della giurisprudenza di legittimità rimane ancorata alla lettura sistematica della norma in esame come ricostruita dalla storica sent. della Corte Cost. n. 247/1974, è pur vero che un approccio non avalutativo al problema della formazione progressiva di danni alla salute potrebbe giustificare l’ammissibilità di un azione inibitoria atipica ex art. 844, 949, comma 2 e 1172 c.c., da azionare in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c..

dott. Salvatore Tartaro

 

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