Soluzione alla traccia n. 1 dell'Esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione forense 2018 - Parere di Diritto Civile - Usucapione - Trascrizione - Vendita di cose altrui.
Parere Diritto Civile, Esame Avvocato 2018.
Traccia n. 1:
Tizio, residente nel comune di Alfa, è proprietario di un immobile denominato “Villa Adelaide”, sito nella nota località balneare del comune di Beta. L’abitazione è però stabilmente occupata da Caio, il quale ne ha preso possesso a partire dal gennaio del 1980, allorché Tizio ha smesso di recarsi nell’immobile in occasione delle vacanze.
In data 6 ottobre 2009, Tizio aliena “Villa Adelaide” all’amico di vecchia data Sempronio – che conosceva l’immobile per esservisi spesso recato durante le vacanze estive fino all’anno 1979 – e ne riceve il pagamento del corrispettivo di euro 120.000.
Sempronio, dopo aver proceduto alla trascrizione dell’atto di vendita in data 20 ottobre 2009, si reca nel Comune di Beta per prendere possesso dell’immobile ma vi trova Caio, che gli nega l’accesso.
Successivamente il Tribunale di Beta, con sentenza passata in giudicato in data 4 luglio 2011, dichiara Caio proprietario di “Villa Adelaide” per usucapione, in virtù del possesso protrattosi per venti anni alla data del 20 gennaio 2000. La causa era stata introdotta da Caio contro Tizio (rimasto contumace) con atto di citazione notificato in data 10 marzo 2009.
Tizio, dunque, preoccupato per le rivendicazioni di Sempronio in relazione alla compravendita dell’immobile, si reca dal proprio avvocato per un consulto.
Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, rediga motivato parere esaminando tutte le questioni sottese al caso.
* * * * *
Soluzione proposta:
La questione giuridica sottoposta all’esame dello scrivente verte nell’individuare i profili di responsabilità del venditore (art. 1476 c.c.) verso il compratore (art. 1479 c.c.), nei casi in cui il possesso del bene immobile oggetto della compravendita sia stato trasferito, da oltre venti anni, a terzo soggetto e questi vanti titolo di accertamento dell’intervenuto usucapione, benché la sentenza sia stata resa successivamente alla stipulazione e trascrizione del rogito di compravendita.
Gli istituti di interesse del quesito proposto sono fondamentalmente due. Anzitutto, per il valore preliminare che riveste alla soluzione del quesito proposto, l’usucapione (art. 1158 c.c.), sotto il profilo concernente il momento acquisitivo della proprietà e sotto il profilo dell’opponibilità a terzi.
L’usucapione, disciplinato nella sez. III del Titolo VIII del libro III cod. civ., è una modalità di acquisto della proprietà, a titolo cd. originario, di beni immobili per effetto del “possesso continuato per venti anni”.
Il possesso valido per usucapire, da intendere in senso tecnico come situazione di fatto connotata per l’esercizio, da parte del possessore, di “poteri corrispondenti all’esercizio di un diritto reale sulla cosa” (art. 1140 c.c.), deve essere legittimo, cioè non acquisito in modo violento o clandestino (art. 1163 c.c.), e continuato, cioè ininterrotto (art. 1167 c.c.) per la durata del lasso di tempo previsto dalla legge.
L’acquisto per usucapione si verifica ope legis spirato il termine ventennale di cui all’art. 1158 c.c., con la conseguenza che la sentenza di accertamento retroagisce al momento della maturazione del suindicato termine.
Quanto all’opponibilità a terzi, dal punto di vista normativo, giova ricordare che solamente la sentenza di accertamento dell’intervenuto usucapione deve essere trascritta nei pubblici registri ai sensi dell’art. 2651 c.c., il quale tuttavia nulla dispone con riferimento alla trascrizione del fatto acquisitivo.
L’altro istituto che viene in rilievo, come si avrà modo di precisare nel proseguo, è la cd. vendita patologica di cose altrui disciplinata all’art. artt. 1479 c.c.
Orbene, con riferimento al caso di specie, ci riferisce Tizio di aver conferito, nel 1980, il possesso della “Villa Adelaide”, sita in una località balneare del Comune Beta, a Caio.
Il 6 ottobre 2009 Tizio ha venduto, con atto notarile debitamente trascritto in data 20 ottobre 2010, il suindicato immobile a Sempronio a corrispettivo pagamento dello stesso della convenuta somma di €. 120.000,00.
Tuttavia il 10 marzo 2009 Caio aveva introdotto, con citazione regolarmente notificata a Tizio, un’azione giudiziale volta all’accertamento dell’acquisto per usucapione di “Villa Adelaide”, sulla scorta del possesso continuato a partire dal 1980.
Tale procedimento, inoltre, è stato concluso, con contumacia di Tizio, il 4 luglio 2011 con sentenza di accertamento dell’intervenuto usucapione in data 20 gennaio 2000.
Alla stregua delle superiori argomentazioni è evidente che Tizio abbia alienato cosa altrui, a nulla rilevando il fatto che il contratto di compravendita sia stato regolarmente trascritto addirittura in data precedente alla sentenza dichiarativa dell’intervenuto usucapione.
Infatti l’usucapione, in quanto fatto acquisitivo della proprietà, non è soggetto al regime della trascrizione ai fini dell’opponibilità a terzi, atteso che, per condivisibile impostazione teorica, il principio della continuità delle trascrizioni di cui all’art. 2644 c.c., si riferisce ai soli conflitti tra acquisti a titolo derivativo indicati nel precedente art. 2643 c.c..
Conseguentemente se, da un lato, non è configurabile un onere di trascrizione del fatto acquisitivo in capo all’usucapiente, dall’altro l’intempestiva trascrizione del fatto acquisitivo, in quanto non soggetto agli obblighi di pubblicità legale, non determina, comunque, l’inopponibilità a terzi dell’acquisto a titolo originario.
Sulla scorta di tali considerazioni un consolidato orientamento giurisprudenziale ha ritenuto di risolvere sempre a vantaggio dell’usucapiente eventuali controversie sorte con terzi acquirenti a titolo derivativo, indipendentemente dall’anteriorità dell’accertamento giudiziale o della trascrizione del titolo (in questo senso cfr. Cass. Civ., sent. 3 febbraio 2005, n. 2161).
Se l’acquisto per usucapione si verifica ope legis una volta maturati i termini di cui all’art. 1158 c.c., a nulla rilevando l’omessa trascrizione del titolo o la posteriorità dell’accertamento giudiziale, è di lampante evidenza che al 6 ottobre 2009, momento della stipulazione del contratto di compravendita oggetto del presente quesito, Tizio non era più proprietario di “Villa Adelaide”, essendo la proprietà di tale immobile, acquisita a titolo originario, dal possessore ultraventennale Caio.
Ricorre, per ciò, la fattispecie della vendita patologica di cose altrui trova la sua disciplina all’art. 1479 c.c.
Occorre, preliminarmente, fare riferimento all’art. 1478 c.c. che disciplina la vendita di cose altrui. Secondo la più condivisibile impostazione teorica, il contratto di compravendita avente in oggetto una res di proprietà di soggetto terzo rispetto al venditore, produce effetti obbligatori nei confronti di quest’ultimo, realizzandosi, nelle more dell’adempimento di tale obbligo, la sospensione dell’effetto traslativo.
Tale impostazione, quindi, propende per un’automatica conversione del contratto di compravendita in una vendita con effetti obbligatori, a discapito del cui inadempimento, il compratore potrà agire con l’azione di risoluzione ai sensi del successivo art. 1479 c.c..
L’istituto della vendita patologica di cose altrui, corollario del precedente art. 1479 c.c., invece, metterebbe in rilievo l’asimmetria tra le parti contrattuali atteso che alla presunzione di responsabilità in ordine alla verifica dello status giuridico della res corrisponde la presunzione di ignoranza del compratore in ordine all’altruità della cosa.
All’esito di tale teorica si approda alla conclusione che l’obbligazione derivante dall’art. 1478 c.c. sorga già in stato di mora, con la conseguenza che i presupposti per esperire la domanda di risoluzione risultano soddisfatti unitariamente al perfezionamento del contratto di compravendita (in questo senso cfr. Cass. Civ.,sent. 26.06.2006, n. 14751).
Alla luce delle precedenti considerazioni è evidente che Sempronio potrà esperire, con successo, l’azione di risoluzione del contratto di compravendita ai sensi dell’art. 1479 c.c., chiedendo contestualmente la condanna di Tizio al rimborso delle spese sostenute per la conclusione dell’affare, nonché di tutte le spese necessarie sostenute per la stessa (qualora ve ne siano state), come anche di quelle non necessarie qualora eccepisca la mala fede del venditore.
E’ evidente, tuttavia, che in quest’ultima circostanza, la mala fede del venditore andrebbe provata dal compratore in virtù del canone della vicinanza della prova, atteso che tale eventualità non corrisponde all’id quod plerumque accidit.
Dott. Salvatore Tartaro